\paperw9000 \margr0\margl0 \plain \fs20 \f1 \fs24 Quando Carlo V abdic≥ (1556) nel dominio della penisola italiana subentr≥ il figlio Filippo II, re di Spagna. Sebbene lÆirruenza
e il fanatismo avessero spinto papa Paolo IV sino a muovere una breve quanto sfortunata guerra a Filippo II, questi fu la mano armata della Controriforma e con lui, in Italia, ordine religioso e ordine politico vennero a coincidere.\par
Tale ordine fu
consacrato dalla pace di Cateau-CambrΘsis, che il 3 aprile 1559 pose fine al lungo conflitto tra gli Asburgo e la Francia. Essa cristallizz≥ lÆordinamento territoriale italiano in una triplice realtα: possessi diretti di una potenza straniera, stati vass
alli di una potenza straniera, stati autonomi e liberi.\par
Nel primo gruppo, la parte del leone spettava alla Spagna, sotto la cui diretta sovranitα si trovarono il ducato di Milano, il regno di Napoli, quello di Sicilia, quello di Sardegna e lo Stato
dei presidi (Talamone, Orbetello, Porto Ercole, Porto Santo Stefano e Monte Argentario), strappato al territorio dellÆex Repubblica di Siena; la Francia aveva solo il marchesato di Saluzzo, che conserv≥ sino al 1588, anno nel quale esso pass≥ sotto i duc
hi di Savoia.\par
Formalmente autonomi, ma di fatto vassalli della Spagna erano gli stati del secondo gruppo, e precisamente il ducato di Parma e Piacenza, lasciato ai Farnese con lÆannesso piccolo ducato di Castro e Ronciglione, il ducato di Mantova in
mano ai Gonzaga, che dal 1536 erano anche marchesi del Monferrato, lÆoligarchica Repubblica di Lucca, il ducato di Urbino sotto i Della Rovere, quello di Massa e Carrara sotto i Cybo e, in situazione estremamente aleatoria, il minuscolo principato di Pi
ombino in mano agli Appiani, ma che sarα a lungo occupato prima dagli imperiali (1603-11) e poi dagli spagnoli (1628-34), per finire da ultimo sotto i Ludovisi (1634).\par
In posizione non stabile era anche il possesso della casa dÆEste: essa dominava s
u Firenze, feudo pontificio, e su Modena e Reggio, feudi imperiali, ma nel 1598, allÆestinzione del ramo principale con il duca Alfonso II, Ferrara fu riunita allo Stato pontificio da Clemente VIII (1592-1605).\par
Sebbene con un margine di autonomia da
gli altri mai conosciuto, a motivo soprattutto dei complessi rapporti finanziari che intercorrevano con la Spagna, bisogna considerare tra gli stati vassalli anche la Repubblica di Genova, che dal 1569 deteneva a titolo diretto lÆisola di Corsica, giα po
ssesso del Banco di San Giorgio, e ora era corrosa dalle lotte intestine tra lÆoligarchia della nobiltα vecchia e le pretese della nuova, la cui rivolta del 1575 fu placata solo con la riforma costituzionale dellÆanno successivo.\par
Gli stati veramente
sovrani erano quattro: il ducato di Savoia, la Repubblica di Venezia, il granducato di Toscana (lÆelevazione del ducato di Firenze in granducato di Toscana fu realizzata nel 1569 da Cosimo I grazie al favore del pontefice Pio V), e lo Stato pontificio.
Tali stati tuttavia non potevano ignorare la predominante influenza della Spagna sulla penisola e spesso dovevano fare i conti con questa, essendo ciascuno di essi come serrato entro la morsa spagnola: Venezia era attaccabile non solo dagli aviti possess
i degli Asburgo, sulla frontiera orientale, ma dal ducato spagnolo di Milano; i Savoia erano minacciati dal Monferrato, vero cuneo nel loro territorio, e dalla Lombardia spagnola; la Toscana era esposta a un attacco da parte dello Stato dei presidi e lo
Stato pontificio confinava con il regno spagnolo di Napoli. A eccezione di Venezia, gravitavano tutti sul Tirreno, ma questo mare (tramite Genova, la Corsica e la Sardegna) era un mare facilmente controllabile dalla flotta spagnola.\par
Quali le condizi
oni dellÆItalia sotto la Spagna? Ai possessi diretti di Filippo II manc≥ non soltanto, comÆΦ evidente, una continuitα territoriale ma anche unÆomogeneitα istituzionale. Sebbene nel 1563 venisse istituito a Madrid un Supremo Consiglio dÆItalia, manc≥ semp
re unÆefficiente coordinazione nellÆazione dei rappresentanti spagnoli in Italia. Giα sotto il profilo istituzionale essi erano diversi: a Napoli, a Palermo, a Cagliari governava un vicerΘ, a Milano invece un governatore; il vicerΘ siciliano o il governa
tore milanese trovavano spesso un freno al loro strapotere nella precedente situazione costituzionale del paese loro affidato, dovendo a Palermo il vicerΘ fare i conti con il parlamento, composto dai tre \i bracci\i0 , feudale, ecclesiastico e demaniale,
e a Milano il governatore con il senato, autentico organo di controllo di tutta lÆamministrazione della giustizia, con in pi∙ una qualche particella di sovranitα, potendo esso respingere alcune prammatiche. Tale freno invece non esisteva o era quasi del
tutto inoperante nel regno di Napoli e in quello di Sardegna, anche se in ambedue i paesi sussisteva il parlamento. Ma la mancanza di coordinamento e la diversitα giuridica non significarono minor peso delle decisioni prese a Madrid sulla vita concreta
dei possessi italiani: sia perchΘ nei conflitti tra il proprio rappresentante e gli organi di governo locale solo la volontα del monarca di Spagna poteva decidere, sia perchΘ si ebbe ineluttabilmente, in un breve volgere di tempo, una netta prevalenza de
llÆelemento spagnolo nel governo e nellÆamministrazione dei possessi italiani. Per es., a Milano, nel lungo arco di tempo che va dal 1560, anno nel quale cess≥ il gran cancellierato dellÆitaliano Taverna, sino alla metα del Seicento, tutti i gran cancell
ieri furono spagnoli ad eccezione di uno soltanto nel periodo 1579-92. LÆassolutismo accentratore di Madrid diede buona esca, ai contemporanei stessi, per accusare la Spagna come unica responsabile della decadenza non solo politica, ma anche economica e
finanziaria della penisola, e questo sarα a lungo un luogo comune della storiografia italiana, sublimato dalla passione indipendentistica e nazionale degli scrittori del nostro Risorgimento.\par
Occorre invece distinguere accuratamente i due diversi pro
blemi che lÆaffermazione sopra ricordata racchiude. La carta dellÆItalia spagnola indica un dominio quasi totale da parte della maggiore monarchia del tempo. I limiti e i pericoli insiti in una dominazione non devono far perdere di vista alcuni tratti fo
ndamentali di questÆesperienza: la penisola conosce, sotto il controllo spagnolo, una certa direzione di unitα politica e finisce con lÆessere inserita entro un impero che ha ormai caratteristiche sovranazionali. In presenza di un sovrano legittimato a s
volgere le sue funzioni, i baroni dovettero accettare di divenire suoi cortigiani; sarebbe stato lo stesso per gli uomini di Chiesa, per i mercanti, per tutti i corpi rappresentativi delle cittα. Si spiega in una lettura politica lÆenorme sviluppo demogr
afico delle cittα-capitali: Napoli, Milano, Palermo rappresentano nelle loro strutture un potere centralizzato e burocratizzato. Cittα immagini del potere, nei luoghi come nelle istituzioni, esse attraggono un gran numero di artigiani, di poveri, di reli
giosi, di mendicanti; realtα in cui ai simboli dello stato moderno si affiancano ciclicamente tutti i segni di gravi crisi economiche e di grande pauperismo. Tuttavia fare di tutto ci≥ responsabile esclusiva la Spagna Φ ricalcare la visione parziale e po
co serena della storiografia risorgimentale. In seguito lÆindagine storiografica ha dimostrato lÆunilateralitα di tale giudizio: ancor prima dello stabilirsi del dominio spagnolo, la penisola italiana presentava dei fattori endogeni di crisi che la Spagn
a, anchÆessa in regresso, non poteva frenare.\par
Si aggiungono a questi alcuni avvenimenti destinati a segnare profondamente lÆequilibrio sociale di una cittα: valga per tutti la terribile pestilenza del 1656, capace di ridurre la popolazione napoletan
a di pi∙ della metα dei suoi abitanti. B. Croce, che di tale revisione storiografica Φ stata la voce pi∙ autorevole, ha usato unÆilluminante immagine, quella di una decadenza abbarbicantesi a unÆaltra decadenza; forse Φ necessario aggiungere che non biso
